Articoli per alimenti in plastica e bambù: vietati anche in Italia

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Dopo Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Francia, adesso è la volta dell’Italia. Con la Nota 42138/2021 pubblicata a fine novembre 2021, il Ministero della salute mette al bando i materiali e oggetti destinati al contatto con gli alimenti (MOCA) in plastica contenenti “polvere” di bambù o sostanze simili, in quanto non sicuri per la salute dei consumatori.

Perché sono stati messi al bando?

Dal 2019 al marzo 2021 si sono contate ben 65 allerte del Sistema europeo di Allerta Rapido per Alimenti e Mangimi (RASFF), che hanno evidenziato il rischio di cessione di melammina e formaldeide da questi materiali agli alimenti che possono contenere. Un rischio decisamente alto, che ha spinto alcuni Paesi, tra i quali adesso anche l’Italia, ad anticipare una decisione al livello europeo che tarda ancora a venire.

Tale messa al bando, evidenzia il Ministero della Salute, si è resa necessaria proprio “In seguito alle recenti e ripetute allerte relative ai materiali e agli oggetti destinati al contatto con gli alimenti (MOCA) in plastica contenenti “polvere” di bambù o sostanze simili e in considerazione delle azioni preventive condivise con la Commissione Europea e gli altri Stati membri al fine di impedire l’introduzione di tali materiali/oggetti sul mercato dell’UE”.

Attenzione: Stiamo parlando dei materiali composti da mix di plastiche e polveri vegetali, non di quelli costituiti dalla struttura inalterata di bambù che possono continuare a essere commercializzati sul mercato comunitario e nazionale. Il bando del Ministero della salute riguarda solo ed esclusivamente gli oggetti destinati al contatto con gli alimenti nei quali le “polveri” di bambù o affini siano combinate con resine plastiche.

Che cosa cambia?

In precedenza, conseguentemente alle segnalazioni RASFF, erano stati ritirati dal mercato alcuni prodotti specifici, in quanto i controlli avevano evidenziato il rischio di migrazione di sostanze pericolose dai materiali agli alimenti. Ma non eravamo ancora giunti a un parere di questo tipo: fino a ieri, in Italia, era possibile commercializzare questi oggetti valutandone la sicurezza caso per caso, ovvero testando e valutando i materiali nel momento in cui si era intenzionati a immetterli sul mercato.

La Nota ministeriale, suddivisa in tre diversi testi sulla base dei destinatari (assessorati alla sanità regionali, associazioni di categoria, associazioni di consumatori) introduce ora il divieto per l’intera categoria di materiali, dichiarandoli non idonei al contatto alimentare: la polvere di bambù e sostanze simili, compreso il mais, non sono autorizzate dal Regolamento 2011/10/UE per l’uso come additivi nella produzione di MOCA in plastica.

bambù

MOCA in plastica e bambù: il dibattito europeo

Come abbiamo visto in questo articolo, il dibattito in Europa sulla sicurezza di tali materiali si protrae da più di due anni.

Dopo l’aumentare delle segnalazioni, nel novembre 2019 l’EFSA si espresse affermando come, a quella data, non sussistessero informazioni sufficienti per valutare la sicurezza di tali materiali a prescindere e, quindi, come fosse necessario procedere alla valutazione caso per caso, tenendo in considerazione una serie di fattori oltre alla tipologia delle sostanze. Tale parere interessava sia le fibre e le polveri di bambù, sia altri materiali vegetali impiegati allo stesso scopo quali, ad esempio, il mais.

È del 23 giugno 2020 la relazione della Comitato permanente per le piante, gli animali e i mangimi (PPFF) della Commissione europea, che conferma il parere precedente dell’EFSA.
Il PPFF ha sottolineato come, non trattandosi di pianta a fusto legnoso ma di un’erba della famiglia delle graminacee, il bambù non è autorizzato al contatto alimentare dal Regolamento 2011/10/UE, che indica i criteri secondo i quali è possibile produrre e commercializzare materiali plastici destinati al contatto con gli alimenti.

Tale regolamento include un “elenco positivo”, cioè una lista di sostanze autorizzate nella fabbricazione dei MOCA in plastica: il bambù non rientra nella categoria FCM n° 96 (“farine e fibre di legno non trattate”). Oltre ad affermare, in linea teorica, che tali oggetti non dovrebbero essere né prodotti né commercializzati sul territorio europeo, ancora una volta si ribadisce la necessità di valutarne la sicurezza caso per caso.

Parliamo di oggetti plastica, non di fibre vegetali

Il punto chiave della questione è proprio questo: contrariamente a quello che vorrebbe far credere una certa comunicazione di marketing, tali materiali sono da considerarsi in plastica in tutto e per tutto, e non in fibre naturali. La fibra vegetale, infatti, si trova additivata in minime quantità in forma di polvere a una miscela di materiali plastici; in particolare, è amalgamata a resine contenenti melammina e formaldeide, impiegate con lo scopo di conferire stabilità e durevolezza al prodotto complessivo.

Proprio su questi additivi si è concentrata l’attenzione dell’EFSA e delle autorità nazionali preposte alla sicurezza alimentare, poiché rappresentano un rischio “di particolare preoccupazione” in quanto modificano le proprietà di migrazione delle sostanze plastiche ospiti. Non è il bambù o qualsiasi altra fibra vegetale ad essere pericolosa: è il fatto che questi materiali, spesso di scarsa qualità o provenienza sconosciuta, siano contaminati da tali additivi e che, proprio per questo, contribuiscano alla formazione di prodotti di reazione o decomposizione non previsti oppure determinino il degradarsi superficiale dei materiali con i rischi che ne conseguono per la salute dei consumatori.

Lunch box in plastica e bambù

Rischio migrazione melammina e formaldeide

Nel corso degli ultimi due anni, le notifiche RASFF hanno evidenziato come il rischio “di particolare preoccupazione” di migrazione di formaldeide (CAS 50-00-0) e di melammina (CAS 108-78-1) da questo tipo di oggetti sia più che concreto: oltre il 40% dei materiali analizzati supera i limiti consentiti di migrazione per più di un fattore.

Melammina e formaldeide sono impiegate nella produzione di stoviglie e contenitori da cucina, in quanto permettono a questi materiali di resistere alle alte temperature, ma possono rappresentare gravi rischi per la salute umana e animale. Successivamente all’aumento sul mercato europeo di utensili da cucina di importazione dalla Cina e da Hong Kong, ovvero dai primi anni duemila, tali sostanze sono state poste sotto la lente di ingrandimento di EFSA e il loro utilizzo è vincolato a un limite massimo di migrazione specifico (LMS).

In particolare, dal 2004 la formaldeide è stata classificata come cancerogeno certo (composti del Gruppo I) dallo IARC, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro: causa gravi irritazioni alle mucose dell’apparato oculare e respiratorio, ed è ritenuta tra le possibili cause del cancro della rinofaringe. Nel 2013 entra quindi nell’elenco delle sostanze SVHC (Substances of Very High Concern) cioè “estremamente preoccupanti del Regolamento REACh, poiché sostanza, tossica, cancerogena e sospettata di provocare alterazioni genetiche.

La melammina è invece individuata come sostanza tossica per l’apparato renale e, in quanto tale, può causare gravi malattie agli apparati renali e urinario. Ai sensi del REACh, è una sostanza SVHC al pari della formaldeide, anche in ragione delle sue eccessive caratteristiche di persistenza e bioaccumulabilità.

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