L’edizione 2020 del Rapporto ISPRA sui rifiuti urbani è stata appena presentata. I dati, come di consueto, fotografano i livelli quantitativi di produzione, raccolta differenziata, smaltimento, import/export dei rifiuti urbani sulla base della ripartizione territoriale nazionale, regionale e provinciale relativi all’anno precedente, il 2019. Oltre a questi, presenta il risultato del monitoraggio sui costi dei servizi di igiene urbana, con il relativo sistema tariffario, e la ricognizione dell’attuazione, aggiornata al 2020, della pianificazione territoriale.
I dati in sintesi della produzione e gestione dei rifiuti
Si sottolineano i trend positivi che, per fortuna, emergono anche da questa ultima analisi: nel Bel Paese la raccolta differenziata aumenta complessivamente del 3,1% rispetto all’anno precedente (61,3%) e la produzione totale di rifiuti urbani fa registrare un calo dello 0,3% rispetto al 2018.
La produzione annua di rifiuti pro-capite si attesta sui circa 500 chilogrammi per abitante come nell’anno precedente; i livelli più alti si registrano al Centro (548 kg), al Nord si assiste a un lieve aumento (518 kg, + 2 kg rispetto al 2018) mentre al Sud la produzione pro-capite scende (445 kg, – 4 kg).
Per un maggiore dettaglio, questo è il link al Rapporto ISPRA 2020 completo, liberamente consultabile e scaricabile online.
Ancora lontani dagli obiettivi di economia circolare
Sebbene i trend ci mostrino come cittadini e istituzioni si stiano muovendo verso una gestione primaria più virtuosa dei rifiuti urbani, in realtà, come sottolineato da ISPRA stessa, gli obiettivi europei di gestione circolare sono ancora lontani.
Innanzi tutto, perché sotto il dato positivo della raccolta differenziata si nasconde altro: senza considerare i rifiuti derivanti dal “ciclo del riciclo”, un quinto di quel 61,3% dei materiali differenziati finisce comunque in discarica o negli inceneritori, poiché di scarsa qualità e irrecuperabile. Quindi, se vogliamo conquistare il target, sarà necessario raggiungere almeno l’80% di raccolta differenziata entro il 2035, come sottolinea la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche.
Per dare una misura più precisa al lavoro che ci attende nei prossimi anni, è sufficiente scorrere la fotografia della gestione dei rifiuti urbani nel complesso. È la dimostrazione immediata di come, a fronte di una raccolta tutto sommato efficiente, i nostri rifiuti non trovano un parco impianti adeguato a trattarli in modo circolare.
Servono più impianti, subito
Lo smaltimento in discarica si attesta sul 21%: l’obiettivo alla soglia massima del 10% entro il 2035 è ancora lontano. Sommato al dato relativo all’incenerimento, la fotografia al 2019 ci mostra come oltre il 40% dei rifiuti urbani, a oggi, sia gestito in modo non circolare: percentuale che dovrà scendere sotto il 35% entro il 2035, anno nel quale dovremo essere in grado di riciclare almeno il 65% dei nostri rifiuti.
E per i dati relativi al 2020, già lo sappiamo, il miglioramento sarà solo apparente: secondo Utilitalia, la pandemia ha fatto diminuire la produzione dei rifiuti urbani del 10%. Se sono aumenti gli imballaggi in plastica e la frazione organica domestica, sono tuttavia diminuite altre tipologie di rifiuti, quali gli organici provenienti dal settore turistico e i RAEE.
Dunque, la soluzione continua a essere una soltanto: più impianti.
È una litania cui siamo ormai abituati e che continueremo a recitare a lungo: senza una seria implementazione di impianti sul territorio nazionale, il recupero dei materiali è destinato a non oltrepassare la soglia del 30%, bloccandoci al di sotto del 50% delle performance richiesteci da Bruxelles. Tutt’al più, come ci aspettiamo nell’immediato futuro poiché queste sono le soluzioni più “economiche”, aumenteranno l’export dei rifiuti e l’incenerimento; quest’ultimo solo se gli impianti nostrani a oggi in funzione riusciranno a incrementare il ritmo.
Dal 1° gennaio 2021 più rifiuti urbani
Anche perché, è bene non dimenticarlo, presto anzi prestissimo avremo molti rifiuti urbani in più da gestire. Lo abbiamo visto in questo articolo: con l’entrata in vigore del D.Lgs. 116/2020, la nuova classificazione dei rifiuti delle imprese “assimilabili” agli urbani porterà nella gestione urbana 1,3 milioni di tonnellate in più di materiali. La stima, a cura di Ecocamere, è ancora approssimativa e potrebbe essere stata calcolata per difetto, ma è verosimile ritenere che, dal 1° gennaio 2021, gli scarti di 48.000 imprese produrranno almeno un +8% di materiali da gestire con la raccolta differenziata urbana.
Sappiamo comunque che, con le novità introdotte dal D.Lgs. 116/2020, per le imprese resta la possibilità di non affidarsi al sistema privativo comunale, ma ad altri gestori privati attivi sul mercato, dimostrando di avere avviato correttamente i propri materiali al recupero. Una soluzione di compromesso che, lo comprendiamo facilmente, servirà a non sovraccaricare all’improvviso la gestione urbana, mentre stiamo correndo per regolamentare molte delle applicazioni end of waste che ancora devono uscire dalla penna del legislatore.
Quali prospettive per il futuro?
Una corsa contro il tempo, quella della gestione circolare dei nostri scarti indifferentemente urbani o speciali, che è necessario disputare tutti insieme, imprese ed enti, produttori e gestori. Le logiche di sostenibilità e prossimità devono orientare il futuro del settore: finché non “scioglieremo il nodo” dell’impiantistica nazionale, lavorando per una migliore e più uniforme redistribuzione su tutto il territorio e disinnescando i comportamenti “tossici” tipici di una cultura datata e di una comunicazione mediatica sempre pronta a innescare e cavalcare la polemica (sindromi NIMBY e NIMTO in primis), difficilmente riusciremo a tenere il passo con gli obiettivi europei.
Il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, da approvare entro 18 mesi dall’entrata in vigore dei decreti sull’economia circolare, rappresenta senza dubbio l’opportunità più importante per dar vita a un cambiamento positivo in tal senso: insieme alle risorse del Recovery Fund e alla nuova prospettiva della green finance, è l’occasione che attendevamo da tempo per tornare a costruire, finalmente, nuove soluzioni per una migliore gestione dei rifiuti nel nostro Paese. Riusciremo a salire su questo “treno”?