Diossine nell’ambiente: come monitorarle?

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Le diossine sono sostanze tossiche che restano a lungo nell’ambiente accumulandosi nella catena alimentare, mettendo a rischio la salute umana e animale. Negli ultimi trent’anni, la loro presenza nell’ambiente è diminuita grazie ad azioni comuni intraprese dalle autorità pubbliche e dalle industrie per ridurne la produzione e la diffusione. Tuttavia, permangono in quantità sensibili in molti alimenti, soprattutto in quelli di origine animale e ad alto contenuto lipidico: se assunte costantemente oltre una determinata soglia, possono causare danni permanenti all’organismo umano. Ecco perché è fondamentale limitarne la diffusione in atmosfera e sul suolo ovvero intervenire prima dell’ingresso di tali inquinanti nella catena alimentare.

 

Diossine e furani: che cosa sono?

Le diossine sono una classe di composti organici identificati da una struttura fondamentale costituita da un anello di 6 atomi, di cui 4 di carbonio e 2 di ossigeno. Il termine è andato a indicare, in senso chimicamente meno rigoroso, anche le molecole diossino-simili ovvero le PCDD (dibenzo-p-diossine), i PCDF (policlorodibenzofurani), i diossani e i PCB (policlorobifenili).
Tra i 75 congeneri di diossine e i 135 di furani, sono 7 le PCDD e 10 i PCDF riconosciuti come altamente pericolosi dall’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente: queste molecole rappresentano 2 delle 12 classi di inquinanti organici persistenti (POPs, Persistant Organic Pollutants) poiché si accumulano nella catena alimentare con estrema facilità, soprattutto nel tessuto adiposo degli animali, e la loro particolare persistenza le ha portate a diffondersi nel mondo intero. La principale caratteristica è quella di essere sostanze semi-volatili, stabili e scarsamente polari, non solubili in acqua ma altamente liposolubili: cioè estremamente resistenti alla degradazione biologica e chimica.

Dove si originano le diossine?

Le diossine possono essere di origine naturale, prodotte da funghi e da spugne di mare, oppure di origine antropica. Tra queste, le principali fonti sono i seguenti processi industriali, dai quali le diossine e i composti diossino-simili possono risultare come sottoprodotti indesiderati:

  • produzione di plastica;
  • produzione di pesticidi;
  • lavorazione dei metalli;
  • produzione di oli combustibili;
  • sbiancamento della carta.

Il maggiore colpevole è spesso rappresentato non dalla produzione industriale, quanto dagli incendi incontrollati: le diossine, infatti, si formano per lo più durante i processi di combustione incompleta ovvero a temperature più basse di 850-1.000 °C. Per le caratteristiche chimico-fisiche che abbiamo appena visto, nonostante la formazione delle diossine abbia carattere locale, la loro distribuzione ha assunto dimensioni globali, arrivando a contaminare una pluralità di ambienti.

 

Come si diffondono le diossine in atmosfera?

Una volta prodotte, le diossine vengono trasportate dagli agenti atmosferici per grandi distanze, finché non si depositano sul suolo o nelle acque superficiali, su aree boschive o agricole, entrando così nel ciclo alimentare: prima ingerite da animali al pascolo o da allevamento, pesci inclusi, arrivano ben presto nei nostri piatti.
L’alimentazione è il modo principale in cui l’essere umano può assumere le PCDD/F ma non l’unico: l’inalazione è, infatti, l’altro importante canale attraverso cui le diossine contaminano il nostro organismo.
In entrambi i casi, per ridurre il rischio e l’inquinamento da tali sostanze è fondamentale monitorarne il comportamento in atmosfera e la ricaduta sul suolo limitandone quanto più possibile la produzione e la trasmissione.
In quanto composti “semivolatili”, possono trovarsi in atmosfera sia come vapore sia come particolato: individuare in che stato si trovino le diossine di cui siamo responsabili, o di cui vogliamo ridurre l’impatto nell’ambiente e per la salute umana, è cruciale. Ognuna di queste forme, infatti, si trasferisce ad altre matrici e si degrada attraverso dinamiche diverse:

  • deposizione umida: le diossine si dissolvono in atmosfera e successivamente vengono depositate attraverso le precipitazioni;
  • deposizione secca di particolato: le particelle cadono per gravità e si depositano sul terreno o nelle acque superficiali;
  • deposizione secca della fase vapore: le diossine vengono assorbite dalla vegetazione.

 

Come si diffondono le diossine nel suolo?

Nel suolo le diossine restano relativamente immobili, poiché vengono adsorbite dalla parte organica e, per la bassa solubilità in acqua, non tendono a migrare in profondità. Le modalità attraverso cui le diossine si depositano sul suolo sono le seguenti:

  • deposizione atmosferica, nei modi che abbiamo appena visto poco sopra;
  • spandimento di fanghi e compost contaminati;
  • spandimento di sedimenti da esondazioni;
  • erosione da aree contaminate.

Per propria natura e per le caratteristiche chimiche delle PCDD/F, il suolo è dunque un recettore “naturale” di tali sostanze e il principale accumulatore: si stima che gli strati più superficiali del terreno conservino le diossine per 9-15 anni; quelli più profondi 25-100 anni.
Attraverso la volatilizzazione, le diossine che permangono sui terreni superficiali possono tornare a migrare in atmosfera o essere assorbite dalle piante.

Come si diffondo le diossine in acqua?

Come abbiamo visto, le diossine sono scarsamente idrosolubili ma trovano nell’acqua un ottimo veicolo, una volta adsorbite dalle particelle minerali e, soprattutto, organiche che si trovano disciolte in essa. Vengono recepite dai bacini idrici solitamente per queste vie:

  • deposizione atmosferica;
  • immissione di scarichi reflui industriali;
  • dilavamento di suoli contaminati.

L’acqua permette inoltre alle diossine di volatilizzarsi e quindi di reimmettersi nel principale canale di diffusione: l’atmosfera. Non di meno, l’acqua può veicolare tali sostanze nei sedimenti del suolo e, non ultimo, direttamente negli organismi viventi che a questa si abbeverano e, dunque, nell’uomo.

 

Quali sono gli effetti delle diossine sulla salute umana?

L’esposizione a breve termine ad alti livelli di diossine, per lo più in conseguenza a eventi emergenziali come il noto disastro di Seveso, può provocare lesioni cutanee come la cloracne e un oscuramento irregolare della pelle, compromettendo la funzionalità epatica.
L’esposizione a lungo termine compromette il sistema immunitario, il sistema nervoso se in via di sviluppo (il feto risulta essere più sensibile all’esposizione da diossina), il sistema endocrino e quello riproduttivo.
Nonostante la PCDD non influenzi la genetica materiale e vi sia una soglia di esposizione sotto la quale il rischio sia trascurabile, l’Agenzia internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha valutato la 2,3,7,8,-tetraclorodibenzo-p-diossina nel 1997 e nel 2012, classificandola come “cancerogeno umano” sulla base di dati ottenuti tramite sperimentazione sugli animali e di dati epidemiologici umani.

 

A quale normativa far riferimento?

La normativa comunitaria e nazionale stabilisce i valori massimi ammissibili delle diossine nelle varie matrici specifiche e, dunque, i limiti di concentrazione nelle emissioni industriali e in tutte le attività antropiche che prevedono la produzione di tali sostanze. Vediamo nel dettaglio quali norme regolano i vari settori:

  • M. 12/07/1990 contenente le linee guida per le emissioni inquinanti degli impianti industriali; l’Allegato 2 fissa i valori limite per le emissioni delle tipologie specifiche di impianto;
  • M. 25/02/2000 n° 124, recante i valori di emissione e le norme tecniche riguardanti le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della Direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, fissa valori limite di emissione in atmosfera per varie sostanze incluse le diossine;
  • M. 19/11/1997 n° 503, regolamento recante norme per l’attuazione delle Direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE concernenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la disciplina delle emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi e di alcuni rifiuti sanitari, fissa i valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento;
  • Direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti prevede una serie di valori limite di emissioni per varie sostanze: nell’Allegato II specifica i valori limite di diossine e furani;
  • M. 5/02/1998: i suballegati II e III stabiliscono i limiti per le diossine relativamente alle emissioni in atmosfera delle attività di recupero energia da rifiuti non pericolosi e alle emissioni dovute al recupero di rifiuti come combustibile o altro mezzo per produrre energia tramite combustione mista di rifiuti e combustibili tradizionali;
  • M. 25/10/1999 n° 471: reca criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 5-2-97 n° 22. Fissa dei valori di concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee, in suoli e sottosuoli anche per diossine e furani;
  • M. 6/11/2003 n° 367: fissa di standard di qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai sensi dell’art. 3, comma 4, del D.Lgs. 152/99, fissa dei valori standard di qualità dei sedimenti di acque marine-costiere, lagune e stagni costieri per una serie di sostanze incluse diossine e furani;
  • Lgs. 13/01/2003 n°36: attua la Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti e stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente; in particolare, individua i limiti di concentrazione di diossine e furani per l’ammissibilità dei rifiuti in discarica.

Per altre matrici, quali i sedimenti, l’acqua per il consumo umano, i fanghi e l’aria degli ambienti di lavoro, la normativa nazionale non prevede ancora prescrizioni e limiti specifici alla presenza delle diossine. Per tali contesti, come suggerisce APAT, l’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, una possibile soluzione è assumere come soglia di rischio i valori di fondo individuati da EPA, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti, in quanto livelli stimati di tali inquinanti in assenza di fonti di contaminazione nelle immediate vicinanze, per le varie matrici (i valori sono espressi in ppt: parti per quadrilione – pg/kg per suoli e sedimenti, pg/m3 per l’aria, ppq per l’acqua):

  • suolo urbano: 9,3 +/- 10,2; range: 2-21;
  • suolo rurale: 2,7; range: 0,1-6;
  • sedimenti: 5,3 +/- 5,8; range: <1-20;
  • aria urbana: 0,12 +/- 0,094; range: 0,03-0,2;
  • aria rurale: 0,013; range: 0,004-0,02;
  • acqua: 0,00056 +/- 0,00079.

 

Come monitorare le diossine?

L’analisi chimica costante delle matrici è il principale strumento per monitorare e prevenire la diffusione dei composti diossino-simili: il monitoraggio delle diossine è previsto per legge per tutte le tipologie di impianti industriali che ne prevedono la formazione, quali quelli che abbiamo visto sopra. Oltre alle diossine vere e proprie, occorre monitorare anche i livelli di concentrazione dei policlorobifenili (PCB), sostanze che possono presentare caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche simili alle diossine: i cosiddetti PCB dioxin-like. Attualmente sono banditi in larga misura, a causa della loro tendenza a bioaccumularsi al pari delle diossine; in passato erano utilizzati per la produzione di conservanti del legno, pesticidi, apparecchiature elettriche, cuoio e pellame, materie plastiche varie.

Oltre alle analisi delle matrici, un valido strumento di monitoraggio per la diffusione delle diossine in atmosfera è lo studio meteo diffusionale: attraverso la modellazione della dispersione atmosferica, si calcolano i livelli di concentrazione e di percezione degli inquinanti nelle aree circostanti lo stabilimento, ovvero si fotografa l’esatta dinamica della dispersione in atmosfera e della ricaduta a terra delle emissioni di un’azienda.

Ecol Studio può aiutarti a monitorare la presenza di diossine effettuando, nei propri laboratori, analisi di PCDD, PCDF e policlorobifenili (PCB) accreditate secondo le norme EPA 1613B 1994, UNI EN 1948-1:2006, UNI EN 1948-2:2006, UNI EN 1948-3:2006 e UNI EN 1948-4:2014. I test possono essere eseguiti su tutte le principali matrici: suoli e rifiuti; acque destinate al consumo umano, sotterranee, superficiali e naturali; acque di scarico; aria inclusa quella degli ambienti di lavoro; emissioni da sorgente fissa. È possibile procedere inizialmente con uno screening e, in caso di risultati positivi, intervenire con analisi più complete e complesse. Grazie allo studio meteo diffusionale, inoltre, valutiamo la diffusione e la ricaduta sul suolo delle tue emissioni inquinanti: uno strumento essenziale per monitorare e prevenire anche la diffusione di diossine e furani.
Contattaci per un consulto senza impegno: scrivi al nostro esperto Sergio Pirrotta a s.pirrotta@ecolstudio.com oppure chiamaci allo 0583.40011

 

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