Stop ai rifiuti assimilabili: che cosa cambia per le attività industriali?

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Come abbiamo visto in questo articolo, tra le modifiche al Testo Unico Ambientale a opera del D.Lgs. 116/2020 vi è anche l’introduzione della definizione di rifiuto urbano all’art. 183, che comporta importanti conseguenze anche per la gestione dei rifiuti delle attività industriali.

Rifiuti “simili” ai domestici

Di particolare interesse per la nostra questione è il comma 2 della lettera b-ter) “dell’art. 183 TUA, che – appunto – ci dice che cosa può essere considerato “rifiuto urbano” oltre ai rifiuti domestici:

I rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies”.

Stop ai “rifiuti assimilati”

Di fatto, con tale disposizione si mette fine a quelli che, fino al 31 dicembre 2020, erano definiti “rifiuti assimilati”, cioè ai rifiuti risultanti dalle attività produttive e commerciali che potevano confluire nella gestione comunale.
Ora, il potere di “assimilare” i rifiuti speciali agli urbani passa allo Stato che lo esercita a monte, stabilendo cioè quali tipologie di materiali e attività possono generare scarti da gestire al pari di quelli urbani.
Materiali e attività che vengono elencati nei nuovi allegati al Testo Unico Ambientale: rispettivamente, l’allegato L-quater e l’allegato L-quinquies alla parte IV. Ciò che rientra in tali allegati non è più da considerarsi rifiuto speciale “assimilato” all’urbano ma, semplicemente e direttamente, “rifiuto urbano”.

Questi sono i materiali di scarto delle attività produttive (purché comprese nell’elenco dell’allegato L-quinquies) adesso classificabili come “rifiuti urbani”:

Allegato L-quater alla parte IV del Testo Unico Ambientale

Elenco dei rifiuti di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2).

FRAZIONEDESCRIZIONEEER
RIFIUTI ORGANICIRifiuti biodegradabili di cucine e mense20 01 08
RIFIUTI ORGANICIRifiuti biodegradabili20 02 01
RIFIUTI ORGANICIRifiuti dei mercati20 03 02
CARTA E CARTONEImballaggi in carta e cartone15 01 01
CARTA E CARTONECarta e cartone20 01 01
PLASTICAImballaggi in plastica15 01 02
PLASTICAPlastica20 01 39
LEGNOImballaggi in legno15 01 03
LEGNOLegno, diverso da quello di cui alla voce 20 01 37 *20 01 38
METALLOImballaggi metallici15 01 04
METALLOMetallo20 01 40
IMBALLAGGI COMPOSITIImballaggi materiali compositi15 01 05
MULTIMATERIALEImballaggi in materiali misti15 01 06
VETROImballaggi in vetro15 01 07
VETROVetro20 01 02
TESSILEImballaggi in materia tessile15 01 09
TESSILEAbbigliamento20 01 10
TESSILEProdotti tessili20 01 11
TONERToner per stampa esauriti diversi da quelli di cui alla voce 08 03 17 *08 03 18
INGOMBRANTIRifiuti ingombranti20 03 07
VERNICI, INCHIOSTRI, ADESIVI E RESINEVernici, inchiostri, adesivi e resine diversi da quelli di cui alla voce 20 01 2720 01 28
DETERGENTIDetergenti diversi da quelli di cui alla voce 20 01 19 *20 01 30
ALTRI RIFIUTIAltri rifiuti urbani non biodegradabili20 02 03
RIFIUTI URBANI INDIFFERENZIATIRifiuti urbani indifferenziati20 03 01

Rimangono esclusi i rifiuti derivanti da attività agricole e connesse di cui all’articolo 2135 del Codice civile.

“Attività industriali con capannoni” escluse

Per le attività produttive, la questione si pone dal momento in cui nell’allegato L-quinquies c’è un grande assente: non sono contemplate le attività industriali con capannoni di produzione.
Dunque, per questa tipologia di attività è esclusa la possibilità di produrre rifiuti “simili” ai domestici e gestibili come “urbani”: da tali attività sono generati soltanto rifiuti speciali.

Le attività che, invece, possono produrre “rifiuti urbani” sono le seguenti, come elencate nell’allegato L-quinquies:

Allegato L-quinquies alla parte IV del Testo Unico Ambientale

Elenco attività che producono rifiuti di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2).

  1. Musei, biblioteche, scuole, associazioni, luoghi di culto.
  2. Cinematografi e teatri.
  3. Autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta.
  4. Campeggi, distributori carburanti, impianti sportivi.
  5. Stabilimenti balneari.
  6. Esposizioni, autosaloni.
  7. Alberghi con ristorante.
  8. Alberghi senza ristorante.
  9. Case di cura e riposo.
  10. Ospedali.
  11. Uffici, agenzie, studi professionali.
  12. Banche ed istituti di credito.
  13. Negozi abbigliamento, calzature, libreria, cartoleria, ferramenta, e altri beni durevoli.
  14. Edicola, farmacia, tabaccaio, plurilicenze.
  15. Negozi particolari quali filatelia, tende e tessuti, tappeti, cappelli e ombrelli, antiquariato.
  16. Banchi di mercato beni durevoli.
  17. Attività artigianali tipo botteghe: parrucchiere, barbiere, estetista.
  18. Attività artigianali tipo botteghe: falegname, idraulico, fabbro, elettricista.
  19. Carrozzeria, autofficina, elettrauto.
  20. Attività artigianali di produzione beni specifici.
  21. Ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie, pub.
  22. Mense, birrerie, hamburgerie.
  23. Bar, caffè, pasticceria.
  24. Supermercato, pane e pasta, macelleria, salumi e formaggi, generi alimentari.
  25. Plurilicenze alimentari e/o miste.
  26. Ortofrutta, pescherie fiori e piante, pizza al taglio.
  27. Ipermercati di generi misti.
  28. Banchi di mercato generi alimentari.
  29. Discoteche, night club.

Rimangono escluse le attività agricole e connesse di cui all’articolo 2135 del codice civile.
Attività non elencate, ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti, si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe.

Quali conseguenze per le attività industriali?

La nuova definizione di “rifiuto urbano” e l’esclusione delle “attività industriali con capannoni di produzione” tra quelle che possono produrli implica, come abbiamo appena visto, che tali attività producano solo rifiuti speciali.

Di conseguenza, per tali attività è necessario:

  1. Riclassificare i rifiuti che, fino al 31 dicembre 2020, erano considerati “assimilati” agli urbani;
  2. Ricalcolare l’area tassabile ai fini della TARI, la tariffa comunale sui rifiuti.

Quali conseguenze sulla TARI?

Il D.Lgs. 116/2020 stravolge completamente la tariffa rifiuti poiché elimina la possibilità, per i Comuni, di disporre l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. Sopprime, infatti, la lettera g) dell’art. 198 “competenze dei comuni” del Testo Unico Ambientale che, tra le competenze dei Regolamenti comunali, inseriva anche:

l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, comma 2, lettera e), ferme restando le condizioni di cui all’art. 184, comma 2, lettere c) e d)”.

Ne consegue che i Regolamenti comunali sulla TARI dovranno essere necessariamente rivisti nella parte in cui si disponeva l’assimilazione e, come ricordato sopra, dovrà essere riconsiderata l’area tassabile all’interno delle attività industriali presentando, laddove necessario, richiesta di riduzione.

Le conseguenze sulla tariffa rifiuti, infatti, sono strettamente legate alle aree assoggettate a TARI: venendo meno la definizione di rifiuti assimilati agli urbani, il calcolo della tariffa dovrà essere rimodulato in relazione alle aree che effettivamente concorrono alla produzione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, quelle adibite a ufficio.

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